12 settembre – 15 novembre 2020
La mostra collettiva, “L’Umano, tema e variazioni”, si incentra sull’analisi di elementi che caratterizzano ciascun individuo: il sogno, l’emozione, l’inconscio, i sentimenti.
Tutti aspetti che sfuggono al controllo dell’uomo contemporaneo, che non può gestirli attraverso logica e regole definite e che tuttavia restano gli unici tratti che lo caratterizzano, richiamandolo alla sua natura.
“Presentiamo questa esposizione muniti dello strumento guida del nostro tempo: la statistica con i suoi grafici. È con l’ausilio di questi che osserviamo l’umanità attraverso la sua storia. I grafici -demografici, economici, tecnologici e così via- rilevano la vertigine di un percorso orizzontale millenario che improvvisamente subisce una impennata verticale in progressiva accelerazione apparentemente inarrestabile, impostasi nel lasso di tempo di una manciata di generazioni. Dell’umanità che ha vissuto ed è appartenuta a questo pianeta per millenni, precipitata com’è nella vertiginosa accelerazione verticale del “progresso”, restano alcuni elementi: il sogno, l’emozione, l’inconscio, i sentimenti.
Tutti elementi che sfuggono al controllo dell’individuo contemporaneo, che non può gestirli attraverso logica, regole e orizzonti di quello stesso progresso che lo aliena, e che tuttavia restano gli unici elementi che lo caratterizzano, richiamandolo alla sua natura. La verticalizzazione imposta da quello che chiamiamo progresso, inverte il paradigma di appartenenza dell’uomo alla natura, mutandolo in appartenenza della natura all’uomo. Ma la metamorfosi della natura da soggetto in oggetto
inanimato (ovvero senz’anima), implica per l’umanità il medesimo destino.
Una equazione, quest’ultima, che si legge a chiare lettere nei lavori di Stefano Invernizzi. Lavori nei quali il rapporto tra uomo e prodotto industriale -dei quali il nostro mondo è sommerso- è un rapporto vischioso: chi dei due giochi il ruolo di soggetto e di oggetto; chi sia la mano e cosa il monile; chi, tra oggetto e uomo, sia dotato di volontà e
chi sia emanazione di questa volontà, non è dato sapere.
Proporzione, definizione, collocazione degli oggetti raffigurati da Stefano Invernizzi, si impongono ad una umanità di lillipuziani ignari del proprio ruolo nel gioco delle parti.
Sulla ribalta dei lavori di Constantin Migliorini scorrono corpi umani in primo piano, nudi, tanto raffinati quanto anonimi e oggettualizzati (che dell’oggetto portano con sé la sensualità) con-fusi, su piani geometrici a-prospettici, con sagome di altri corpi, in una relazione eterea, all’interno di aurea e trame oniriche.
Un realismo più (Migliorini) o meno (Invernizzi) accademico, gioca un ruolo di contrasto che esalta le narrazioni rispettivamente oniriche o surrealiste nell’opera di questi due artisti.
Un linguaggio più diretto e univoco, in senso espressivo, hanno le sculture di Giuseppe Tattarletti e l’opera pittorica di Alessandro Negri.
Nelle magistrali opere di Negri, realizzate attraverso un forte accento grafico, Eros è insediato al timone, attorno gli aleggia Thanatos: è dunque l’erotismo ad essere esplicito, pur se nulla si concede al compiacimento.
Nei lavori scultorei di Tattarletti i ruoli di questi due dei della mitologia (alla radice del senso stesso dell’esistenza) sono invertiti: la sofferenza di una umanità negletta è infatti esplicita e sembra denunciare il conflitto tra sistema sociale e individuo, tra la “normalità” agita dalle masse conformi e la solitudine del singolo che proprio la “normalità” sociale converte in alienazione e follia.
Tra il realismo di Invernizzi e Migliorini e l’espressività di Tattarletti e Negri si colloca l’elegante pittura di Igor De Marchi. Eleganza che è sintesi di realismo ed espressività ed evoca la pittura rinascimentale a dispetto del suo marcato carattere contemporaneo: il lavoro di De Marchi si colloca infatti tra le fessure di consapevole e caparbia resistenza al muro compatto, ineludibile, della “ipermassa” e del suo sistema sociale. Dice De Marchi del suo lavoro: «immagino un palcoscenico teatrale, dove ogni personaggio recita se stesso mostrando forza e fragilità. Il nero [sempre presente nelle tele di IDM] è, anche, l’inconscio nel quale dimorano pulsioni passate e talora rimosse, proprie dell’umana esistenza».”
Febbraio 2020
Francesco Falcolini